Noi siamo figli delle stelle, di un’epoca romantica, non so voi ma io mi sento ancora così, siamo figli di quegli anni dove la guerra della cavalleria era già iniziata, puledri, purosangue e ronzini a secchiate dentro i motori, ma tutti ancora da domare con il polso, e la maestria delle case stava anche nell’avere nel proprio garage un omino, un artigiano, uno sciamano dell’albero… a camme, capace di regolare il motore come un orologiaio, perché la potenza ignorante non serviva a nessuno.
Eppure in epoca moderna, quello del motorista è un mestiere mixato a quello meno romantico delle nuove tecnologie, dell’elettronica che trasforma, imbriglia e modifica come un farmaco il carattere del motore. Ma leggendo l’articolo di una nota rivista di ragazzacci della moto, rito immutato nella partenza per le vacanze, qualcosa è riaffiorato di quella potenza pura che sa dare un motore supersportivo. Tanta potenza.
Supersportive dissennate nel prezzo, lontane dalla disponibilità dei portafogli, ma piene di chincaglieria di lusso, pornografia motociclistica che ci regalano sogni proibiti, soprattutto dopo aver controllato il conto in banca. Poi compare lei, nata ad Hamamatsu, costruita con quel tipico buon senso jap che si sta perdendo nella guerra all’ultima diavoleria. Non indossa gioielli d’alto livello, ma gioielli di buon livello, non incorpora il cervello più sofisticato perché ad Hamamatsu quel vecchietto esperto botanico di alberi motori non lo hanno ancora mandato a casa, non monta nemmeno sospensioni svedesi intelligenti, ma quelle giapponesi di buon senso.
Poi gira in pista e si piazza davanti a molte ricche avversarie, con 5000€ in meno di listino. Allora dopo il buio di prezzi siderali vedo la luce, quella delle stelle, quella romantica che mi fa sognare di nuovo che la moto supersportiva è ancora un mezzo più democratico di quella delle auto supersportive.
E quindi? Niente, mi viene in mente che essere ancora figli delle stelle si può, e non si arriva nemmeno ultimi.
Wolf