Era la fine degli anni ’70 e Gianni Togni scalava le classifiche con la sua Luna. 

Un successo, tormentone, che girava dalla radio anche tra i banchi di quell’ITIS milanese che poco più avanti avrebbe portato alla sospirata maturità scolastica.

Le moto erano quelle parcheggiate nel cortile, tanti motorini, i soliti Garelli e Ciao, ma anche molti marchi ormai scomparsi, quei Moped presi in prestito direttamente dal papà o dal nonno, purché capace di regalare un po’ di autonomia di movimento, qualche 125, Gilera, Benelli, Malanca mentre le più grosse, probabilmente di qualche ripetente erano le 350 Morini e Moto Guzzi, qualche Ducati e rarissime giapponesi che stavano arrivando in quegli anni.

Per me un mondo ancora sconosciuto, le guardavo con curiosità, ma senza particolare interesse, proiettato più verso la comoda futura autovettura ed accontentandomi, vedi sopra, di un vecchio Benelli 50 tre marce degli anni ’60.
Quel mondo che attraverso quell’oblò di Togni era fatto di ideali, sogni speranze e tanta voglia di vivere, quando c’era tutto il necessario, mancava probabilmente solo il superfluo. Quella Luna da guardare pensando di poterla raggiungere e conquistare.

Un oblò diverso da quello da cui guardo ora il mondo a bordo di una di quelle due ruote che come allora rappresentano libertà, una finestra sul mondo in quel casco che protegge la mia testa e che allora era quasi esclusivamente appannaggio dei Piloti.
Casco obbligatorio che ha chiuso il panorama, ma forse l’ha reso più preciso, obbligando a uno sguardo finalizzato, dritto verso la direzione del nostro viaggiare.

Un quadro racchiuso nella cornice di quell’oblò del casco dove la visiera fa da vetro protettivo per preservare nitida la visione, un quadro vero in cui immergersi che cambia continuamente nel nostro procedere.

Una visione del mondo che solo chi va in moto può apprezzare, il nostro modo di guardare il mondo da un oblò!