Uomini Suzuki
Categoria: trafiletti

Ognuno ha la sua fede in fatto di moto, ognuno ha la sua malattia quando si tratta di moto, insomma "ogni scarrafone è bello mamma sua".

.I marchi ci affascinano, sono come bandiere per la nostra passione, ci sono blasoni che sono sanguigni più di un credo, come i ducatisti dei tempi d’oro, capaci di perdere una pedana di un bellissimo 748 (ne sono stato testimone) e dirti con convinzione che una Ducati la si ama anche per l’imperfezione, ci sono i guzzisti, capaci di dirti che una V11 (che ho nel box) è una moto paciosa, ci sono quelli che gli gira l’elica, ci sono gli harleysti del puro acciaio americano, i ribelli che tolto il solito giubbotto di pelle sdrulcito indossano giacca e cravatta, ma ci sono anche i giapponesisti, tra perfezionismo Honda, arti marziali Ninja e musicalità dei diapason.  

Qualcuno può dissentire, ma il fuoco è fuoco e la passione è passione, ed è bella.

E poi ci sono i suzukisti, di cui faccio parte. Sono salito in sella ad una moto vera partendo proprio da una Suzuki, vent’anni fa, la mia prima moto è stata quella che i miei amici di scorribande avevano soprannominato “culo di gallina”, una GSX-F600 con la quale ho macinato migliaia di chilometri e mi ha dato grande gusto, senza mai spiccare per personalità forse. Perché le Suzuki sono un po’ così, non sono mai appariscenti, hanno spesso linee diverse adatte a chi non vuole essere uguale a tutti gli altri, sono moto di grande sostanza, dove gli strani Umpalumpa di Hamamatsu riescono a miscelare sapientemente ingredienti motociclistici creando passione, creando motociclette di grande concretezza, creando lunghe storie di motociclismo, gli ultimi a interrompere quella connessione meccanica tra polso e motore creata con quella strana armonia molto giap.  Sono le moto dell’uomo della strada, del macina chilometri, di chi si fa i conti in tasca ogni volta che sale in sella, di quello che quella “S” la trova appagante nella sua normalità, sono le moto che non ti abbandonano mai, che non puoi raccontare di non esserci uscito perché era ferma dal meccanico, che le trovi ad aspettarti scodinzolanti nel box quando apri la serranda,  e che quando c’è da fare la voce grossa lo fanno con quella rauca che esce dagli scarichi, lo fanno con quelle sigle “settemmezzo” o “gixxer” che ricordano a tutti che sullo sfondo ci sono comunque storie importanti. Sono semplicemente uno strumento per la passione.

Quest’anno Suzuki porta a casa un titolo. La tribù del blu mette in bacheca una corona mondiale dopo le delusioni, l’abbandono della Superbike e l’avventura incerta in MotoGP, una moto da motociclisti normali anche quella, buona per tutti i circuiti, cresciuta piano piano, guadagnando centesimo dopo centesimo senza exploit ma con tanto lavoro, una moto da vero suzukista, una moto come noi.

 

 
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