Marco aveva comprato la Lambretta, non nuova ma era tanto ben tenuta e in ordine che se n’era innamorato a prima vista.
Nel ’56 era costata centocinquantamila lire ma ora, nella primavera del ’63, lui se l’era cavata con sei banconote da diecimila. Gran bel peperino la Lambretta, il vecchio proprietario l’aveva trattata con cura maniacale e lui non sarebbe stato da meno. In quei giorni qualche amico gli aveva consigliato di optare per la Vespa, ch’era meglio ma lui aveva le idee chiare e si era già schierato per conto suo, “i vespisti meglio lasciarli stare”, questa era stata la sentenza di uno dei suoi commilitoni, lambrettista convinto, col quale era solito andare in libera uscita ai tempi della naja.
Il tragitto dalla caserma “Lancieri di Novara”, di Codroipo, al primo bar era di quasi un chilometro, quale occasione migliore per parlarne? Ma la Lambretta lui sentiva di amarla già per conto suo.
La peperina aveva un cuore monocilindrico due tempi di 125 cc e sviluppava sei cavalli e mezzo per una velocità all’incirca di una settantina di chilometri orari.
Quando ci usciva insieme Marco se la godeva tutta ad infilare una dietro l’altra le curve delle colline del suo paese e limitrofe, viveva in un paesino incastonato tra i rilievi dell’astigiano. Quando c’era lui in quelle strade non c’era Vespa che tenesse o, almeno, questa era la sua personalissima impressione perché i vespisti, a dire il vero, sembravano più pensare ai fatti loro che cimentarsi in tenzoni improvvisate.
Un giorno s’era fatto audace e vinta la timidezza aveva accostato Angelina davanti al negozio di Teresa.
“Ciao Angelina, vuoi fare un giro”?
A lei sarebbe piaciuto, come no, ma doveva fare delle compere per i genitori e non voleva rientrare tardi, la loro cascina era nella collina di fronte ed era a piedi.
“Mi piacerebbe ma non ho tempo, meglio un’altra volta”.
“Neanche se dopo ti accompagno fino a casa”? …Così puoi fare più presto…dai, un giretto piccolo, ti va?”
Era un tardo pomeriggio estivo, Marco aveva delegato tutto al polso destro e ora il suono brioso del motore annunciava a prati, alberi e vigne, il passaggio di uno scricciolo inturbinato nel vento. A bordo due ragazzi felici, Marco per aver vinto la sua secolare timidezza, Angelina, stretta al suo cavaliere si godeva il solletico ai capelli lasciati andare ai capricci dell’aria. Il suono, chissà come, si era fatto canzone.
Altro pomeriggio estivo, Nino aveva superato l’esame di terza media, tra qualche mese le superiori. Marco gli aveva offerto una paga di cento lire l’ora per “tirare” il bue nella vigna per l’aratura e ora i tre lavoravano in perfetta sintonia. Nino conduceva il bue lungo il filare, il bue lo seguiva mansueto, Marco chiudeva la fila con l’aratro. Nessuno parlava, il silenzio della campagna era rotto da strilli di cicale, garriti di rondini a caccia di insetti volanti, il respiro del bue e il suono discreto di zolle rotte al passaggio dell’aratro.
Alle cinque la merenda, anche il bue meritava una sosta.
“Caro il nostro studente…mi fa piacere che tu sia stato stato promosso, che tema vi hanno dato all’esame?”
“Un tema sull’emancipazione femminile, quest’anno ci sono state le elezioni, anche le donne hanno votato grazie a una legge del 1 febbraio 1945, una conquista sociale storica”.
“Ma quale conquista d’America”!
“Cosa dici mai? È una grande conquista”!
“Se le donne, come noi, sono cittadine, mi spieghi come mai c’è voluta una legge per riconoscere loro il diritto di voto”?
“Non saprei, queste cose le capisco ancora poco, ma a proposito di donne, sai cos’è successo ieri sera”?
“Racconta”.
“Ero andato a comprare una bottiglia di spuma alla trattoria di Giovanna e sai chi c’era? Alberto e Mauro, quelli che hanno un trattore Massey Fergusson e che fanno lavori per conto terzi. Avevano bevuto un po’ e raccontavano a tutti un fatto successo tre anni fa durante la trebbiatura alla cascina dei Roero. Raccontavano che durante quei giorni avevano messo gli occhi addosso ad Angelina e un po’ corteggiandola, un po’ ridendo e scherzando, a un certo punto le avevano proposto di allontanarsi con loro per fare un giochino”.
“Giochino”?
“Sì, l’hanno portata in una vigna e l’hanno presa, prima l’uno, poi l’altro”.
“Farabutti, tre anni fa? Non lo sapevo”.
“Tu eri militare, la cosa era stata risaputa nel paese, qualcuno aveva parlato di lei come di una puttanella mentre loro due erano stati dei veri maschi che avevano saputo conquistarsi un trofeo ma dopo un po’ non se n’è più parlato”.
Il racconto di Nino diceva ancora che, tra l’ilarità generale, i due avevano annunciato ai compari che ci avrebbero riprovato anche questa sera. L’avevano incontrata ieri in città mentre usciva da un negozio di dischi ed era raggiante. Angelina aveva comprato “Please please me” un 33 giri di un nuovo complessino musicale inglese che si chiamava “The Beatles”, anche questo un nome impronunciabile. Oltre a farle i loro complimenti di repertorio le avevano chiesto di parlare loro del disco. Lei amava i Beatles, li aveva sentiti diverse volte alla radio e ora che era uscito l’album aveva fatto un grosso sacrificio per comprarlo. I brani più belli? Tutti anche se volendo avrebbe scelto “Twist and Shout”, le piaceva ballare il Twist.
“Perché non lo insegni anche a noi? Se vuoi verremo a trovarti domani sera, ti aspetteremo nel retro della tua cascina e ci insegnerai a ballare”!
“Perché no”?
Alberto e Mauro erano figli di una società che li aveva forgiati così e non erano i soli. Erano convinti che la donna fosse preda e loro i cacciatori e non erano i soli.
Nel tardo pomeriggio del giorno dopo il sole sembrava non volesse appiattirsi dietro alle colline, resisteva con tutte le sue forze ma inutilmente, non ce l’avrebbe fatta ad assistere alla scena. L’unica soddisfazione possibile, incendiare di rosso l’orizzonte.
Nella stradina inghiaiata un grosso Massey Fergusson brontolava macinando polvere e sassi, a bordo due uomini, l’uno al volante l’altro seduto sul parafango, ciascuno perso per conto proprio tra sé e l’ebbrezza al pensiero della festa imminente. Il sorpasso era avvenuto con estrema naturalezza, nonostante le ruotine da otto pollici la lambrettina se la cavava egregiamente anche nella ghiaia, bastava tenere ferma la barra, dritta senza paura. E poi via, dentro al vento.
Il rosso del cielo non aveva ceduto il passo alle prime stelle ma ne avrebbe avuto ancora per poco. Nel retro della casa di Angelina un grosso Massey Fergusson ritmava paziente la solita sequenza dei pistoni, allo stesso monotono numero di giri. I due appollaiati a bordo aspettavano l’apertura delle danze ma Angelina non c’era.
Era andata via col ragazzo della Lambretta al chiarore di quel che rimaneva del tramonto. I due cantavano “Twist and Shout” e anche il motore era della partita. Marco non era un cacciatore di trofei e, come lui, molti ragazzi di quella nuova generazione.
Finalmente qualcosa di nuovo nell’aria, forse i tempi stavano cambiando, forse.
Tanino G. Randazzo
Sempre dell'autore di questo pezzo potete leggere DUE RUOTE, UNA SELLA E IL MOTORE CHE CANTA