Categoria: Biker World

"Tra cuore e ragione, ragioniamo sulla vendita della rossa"

In questi giorni desta scandalo e stupore la notizia che Ducati è in vendita. Subito appassionati, detrattori e semplici amanti delle due ruote si sono scatenati sul web a colpi di feroci discussioni, alcune volte ragionando incoerentemente su presunti pregi e difetti delle moto della casa bolognese, altre volte più nel merito di quanto sta accadendo e delle sue ripercussioni sulla vita di molti motociclisti, ducatisti o meno, e di chi "in" e "per" la Ducati lavora.


ECONOMIA SPICCIA

Tralasciando per un attimo il tifo da stadio, cerchiamo di addentrarci nella maniera più semplice possibile (diversamente non ne sarai capace) nei meandri dell’economia, quella vera, delle borse, delle quotazioni, delle scalate…insomma tutte quelle cose che ci stanno facendo incazzare in questi giorni.

Innanzi tutto un po’ di storia sui passaggi di mano che ha subito Ducati, giusto per attenuare questa sensazione di oltraggio o scandalo. Dal 1948 al 1984 la proprietà di Ducati è passata più volte di mano; Efim, Finmeccanica..Iri, vi dicono nulla? Società a partecipazione statale; poi per fortuna nel 1984 l’avvento di Cagiva e di quel genio incommensurabile di Claudio Castiglioni. La fine degli anni ’80 vede la rinascita, la resurrezione del marchio bolognese fino allora relegato alla produzione di moto di scarsa qualità e di motori diesel per trattori. Sotto la guida Castiglioni nascono la 851, la 888 e la mitica 916, moto che a 20 anni di distanza ancora fa scalpore per le sue linee. Sculture su due ruote, le cui immagini facevano il giro del mondo, con il grande Ayrton Senna che girava per Montecarlo e si presentava ai galà in sella alla sua 916 (ricordate la famosa colorazione “Senna”?). Ma anche Castiglioni dovette vendere, e la proprietà passò fino al 2006 a un fondo americano, Usa, Texas per la precisione. Nel 2006 l’avvento dell’attuale proprietà capeggiata da Andrea Bonomi. Una società, la Investindustrial, che ha rilevato la Ducati in un momento di acque basse per navigare ancora alla grande.

Quindi prima considerazione forte, la Ducati ha cambiato proprietà più volte, e non tutte erano italiane.

Seconda considerazione. Perché Bonomi vuole vendere? Semplice perché è un business man, perché ha preso la Ducati che valeva 500 milioni e lavorandoci ha fatto si che i ricavi del 2011 fossero di 480 milioni. Nulla trapela sulla stima degli utili, ma sono in crescendo, 42.000 moto vendute, più 20 % rispetto al 2010.
Bonomi ha guidato l’ennesima araba fenice, il progetto Motogp, il mondiale di Stoner, l’arrivo di Valentino.
Bonomi ha comprato una casa, messa discretamente, l’ha ristrutturata, imbiancata, arredata, l’ha fatta conoscere a tutto il mondo; la casa ha così moltiplicato di x volte il suo valore, e le stime danno che la aumenterà ancora. Il business man ha deciso così di vendere. Profitto alla x potenza assicurato. E’ business, non cerchiamo di capirlo con il cuore di appassionati. Ma tornando all’esempio della casa…voi cosa avreste fatto?

Le logiche del mercato sfuggono sia alla passione sia agli altri sentimenti più forti. Le logiche di mercato sono appunto logiche di mercato, ed io a volte mi sento solo una pedina sull’enorme scacchiera mondiale dominata dai grandi numeri, dai grandi gruppi. Se vendi quando il bene è quasi in fallimento ci ricavi quel che puoi, se vendi quando sei sulla cresta dell’onda (senza H) il prezzo lo fai tu. Bonomi questo lo sa bene!

Ma torniamo alla mera economia. Quali scenari si aprono ora? Si vocifera di due strade possibili; la prima complessa, di quotare il marchio alla Borsa di Hong Kong che potrebbe essere la vetrina ideale per i produttori asiatici che magari comprerebbero la maggioranza delle azioni. La situazione economica mondiale però non è così favorevole alla quotazione. E’ però altrettanto vero che le quotazioni in Asia di Ducati sono in continua ascesa. Seconda strada, vendita in blocco. C’è chi si affretta a far sapere che non è interessato (Gruppo Piaggio, Bmw, una quota di Ferrari, Fiat ecc.), chi si nasconde dietro ad una semplice collaborazione tra brand (Mercedes) e chi invece manifesta amore come il presidente della Volkswagen (ducatista DOC), forse la soluzione migliore visto che il solido marchio tedesco contende a Toyota la leadership mondiale nella costruzione auto, e il colosso indiano Mahindra.

Ci è stata detta davvero tutta la verità? Oppure è un piano di semina il cui raccolto è già stato determinato e venduto sui mercati? Purtroppo a noi pedine non resta che restare a guardare, sperando (invano) che un altro pezzo d’Italia non sia immolato all’altare del mero Business.

PASSIONE VERA

Non so quanto valga Ducati in meri soldoni, so quanta passione raccoglie…e anche quanto odio, già o la odi o la ami, niente mezze misure, niente grigio o nero, solo rosso passionale. So quanti appassionati la guidano, la ammirano o semplicemente la sognano; conosco le gioie, l’adrenalina, ma anche la tenacia di chi sopporta con gioia i dileggi al minimo guasto, fama guadagnata in tempi ormai remoti. So che la passione va oltre i confini, oltre le partecipazioni statali, oltre le società texane. So che il popolo ducatista e gli appssionati di moto italiane se ne faranno una ragione anche questa volta, come da mezzo secolo a questa parte; certo la passione non va a braccetto con il business time, non ragiona con il profitto ma con la pancia, non sente l’altalenarsi delle borse ma ragiona solo col tuono di quei due cilindri bolognesi. Culo contro sella, sole, pioggia, passione rossa, passione vera.

La Ducati ora è una “società perfetta”, come dimostrano anche i titoli assegnati alla qualità dello stabilimento, può solo crescere e per farlo ha bisogno del sostegno di un forte partner industriale….e che il Dio del tuono ci regali il sogno che resti italiana… ma se devo dirla tutta, qui non è il paradiso…quindi piuttosto che il glorioso marchio sia di nuovo lasciato sprofondare nell’inferno dei motori diesel… anche se la nuova linfa vitale non sarà italiana...

Fatta questa considerazione estrema, quello che va salvaguardato è il genio italiano, la capacità di molti nostri ingegneri di creare qualcosa di diverso, dalla distribuzione desmodromica, all'utilizzo di tecnologie da MotoGP nella produzione, alla capacità di trainare il mondo motociclistico nell'era dell'elettronica più sofisticata, telai portanti e tante altre cose. La moto si muove, non è immobile, la tradizione si unisce alla tecnologia, e noi italiani siamo molto bravi in questo, e non parlo ovviamente solo di Ducati. Da questo punto di vista un gruppo europeo sarebbe una maggiore garanzia di mantenimento della produzione della componentistica il più possibile in Europa, anche se altre case prestigiose hanno già scelto di delocalizzare la produzione di alcune parti in estremo oriente.

Gli appassionati stanno alla finestra, non possono fare altro, se non pensare di possedere (una ducati spesso non la si compra, si possiede, o in alcuni casi è lei a possedere te) uno degli ultimi gioielli ancora Made in Italy, nell’idea, nella fabbrica, nelle mani, nella proprietà.

Fagna

 



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