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Ho appreso la notizia della morte di Michele Scarponi come una fucilata, un colpo secco che ti fa capire quanto la vita sia appesa a un filo sottile.
Un incidente stradale come troppi, di quelli dal confine effimero tra scamparla e rimanerci, purtroppo per Michele il risultato è stato il peggiore.


Il sole che acceca e toglie alla vista quella persona che cavalca una due ruote. Poco importa se non aveva un motore.
Per me Michele non era un ciclista; era un uomo, uno sportivo, un campione a cui il destino ha interrotto una vita di probabili nuovi successi.
Ho sempre manifestato il mio disappunto verso i “Ciclisti”, non intesi come sportivi del pedale, bensì quei maleducati bicidotati che scorrazzano per le strade senza nessuna regola né rispetto altrui, ma Michele Scarponi non era uno di questi.
Oltre al pensiero alla famiglia e ai piccoli gemelli che non hanno visto rientrare il padre come ogni sera, mi è scappato un sussulto di rabbia nel vedere strumentalizzata questa morte per manifestare ampiamente la situazione di pericolo per chi si muove sulle due ruote a pedali, senza pensare che spesso, e questo vale anche per i Motociclisti, spesso siamo noi stessi a metterci in situazioni di pericolo considerandoci i padroni della strada.
Addirittura ho visto filmati con l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, noto amante della bicicletta, pedalare con tanto di scorta tranquillamente affiancati lungo le strade trafficate, illogica follia per dimostrare il contrario.
Lui non era così, lui faceva semplicemente quello che amava fare, pedalare sulla sua bicicletta, come noi facciamo sulle nostre moto, lo stava facendo nella maniera più corretta possibile, come tanti altri che con diversi mezzi di trasporto hanno avuto la stessa triste sorte.
Non cerchiamo scuse, non puntiamo il dito, semplicemente usiamo di più il cervello tutti.
Magari con un pensiero a chi ora pedala libero tra le nuvole.

Flap

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